Cosa vedere a Citera
Cosa vedere a Citera
Citera può facilmente essere l'isola della vita. Di medie dimensioni, remota, appena lambita da un turismo piuttosto sofisticato e certamente non di massa, colpisce al cuore per la sua essenzialità. Qui, nell'antichità, si sono alternate numerose popolazioni, integratesi con la gente del luogo e, schivata la minaccia ottomana, si sono succeduti due dominii: quello veneziano e quello inglese. Primo territorio greco ad essere liberato dall'occupazione tedesca nel 1944, nei decenni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale è andata incontro ad una drastica riduzione degli abitanti a causa di un intenso flusso migratorio verso l'Australia. Premesse doverose, queste, per capire che cosa visiteremo e che forma sta per assumere, col parziale ritorno in patria di coloro che erano emigrati, il futuro del territorio. In questa prospettiva si colloca il progetto del Comune di Kythera, in collaborazione con The Friends of Museums of Kythera, di realizzare un Museo dell'Emigrazione di Citera che raccolga oggetti e storie di coloro che sono stati costretti a partire. Siamo ancora ad uno stadio embrionale, ma il comitato che presiede i lavori è tenace e si batte in prima linea nella ricerca di documenti.
Tra scorci naturali di rara poesia, villaggi meravigliosi, reminiscenze architettoniche veneziane ed inglesi, è utile sapere che per esplorare l'isola come si deve ci vorranno almeno 5 giorni, altrimenti si andrà a comprimere tutto in un ritmo troppo frenetico.
Quasi sicuramente farete il vostro ingresso nell'isola da Diakofti, sulla costa orientale, sede del porto attualmente operativo di Citera collegato con Neapoli, nel Peloponneso, da una o più corse al giorno. Un ponte rettilineo congiunge il molo d'attracco con la terraferma, custode di una spiaggia spettacolare. La sua soffice sabbia d'oro bianco ed il suo mare dai riflessi smeraldo, così simile a quello che lambisce la vicina Elafonisos, vi faranno trascorrere da queste parti più tempo del preventivato.
Diakofti: il porto e l'azzurro polinesiano del suo mare
La bellezza pura ed impetuosa di quest'isola risulta evidente dai suoi punti panoramici, dove il contrasto tra il bianco accecante delle sparute costruzioni ed il blu tersissimo di un cielo spesso ventoso è amplificato all'ennesima potenza e funge da preambolo a viste indimenticabili. Un esempio su tutti è costituito dal piccolo complesso ecclesiastico di Agios Georgios, in linea d'aria un paio di chilometri a nord di Avlemonas ma, in realtà, non facilissimo da raggiungere, dato l'ultimo angusto tratto sterrato. Una volta in cima, però, sarete gratificati da un panorama da urlo che spazia, procedendo da nord verso sud, da Diakofti alle coste della Laconia meridionale, fino a capo Capello che nasconde quasi totalmente l'isolotto di Chitra. La solitudine del luogo vi donerà pace d'animo ed ispirazione per foto memorabili.
Poco sopra Diakofti, un altro punto panoramico da inserire tra le cose da vedere a Citera è il monastero di Agia Moni. Costruito su una montagna sopra il villaggio, sorge anch'esso in una posizione eccezionale che permette di dominare con lo sguardo tutta l'isola e il mare fino alla costa del Peloponneso. Agios Georgios e Agia Moni si occhieggiano l'un l'altro, complici, da due colli limitrofi nella parte sud-orientale dell'isola. Regalano scorci pazzeschi anche Chora e le due città fantasma di Palaiochora e Kato Chora, antichi kastro in rovina dove costruzioni abitative e difensive s'alternano ad innumerevoli chiese bizantine scoperchiate, in cui gli ultimi lacerti di affreschi centenari resistono silenziosi, ancora per poco, alle ingiurie del tempo.
Continuiamo il nostro tour in senso orario delle attrazioni di Citera con Avlemonas, sul lato sud-orientale dell'isola. Con le sue abbaglianti case bianco calce disseminate d'imposte blu, ricorda un classico villaggio delle Cicladi. È facile capire perché in molti scelgano di soggiornare qui: la sua "piscina" naturale lunga e stretta, che dopo pochi metri sfocia nel mare aperto, crea uno scorcio estremamente pittoresco e farvi un bagno costituisce un'occasione unica in bilico tra romanticismo ed avventura. Comunque, per chiunque desiderasse un'esperienza di mare più tradizionale, la spiaggia di Palaiopolis dista solo un chilometro dal centro dell'abitato.
A ben vedere Avlemonas è in realtà una doppia baia divisa in due da uno sperone di roccia prominente. È quella più ad ovest ad aver conosciuto il clamore del turismo, mentre quella volta ad oriente rimane defilata, pacifica, quasi dimenticata se non fosse per le barchette degli abitanti del posto qui attraccate. Se la prima è uno degli scorci più instagrammati di Citera, con le sue pensioncine in stile cicladico ornate da fiori tropicaleggianti ed i suoi locali alla moda in cui consumare dalla colazione alla cena, la seconda è la destinazione ideale per una breve passeggiata distensiva. V'imbatterete nella graziosa vardiola (guardiola), torre d'avvistamento veneziana; in uno dei bar più quotati dell'intera isola per i cocktail serali; nell'imponente dimora su due piani di Giovanni Cavallini, figura di spicco nel panorama citereo del XIX secolo poiché collezionista amatoriale di reperti archeologici e, soprattutto, viceconsole delle Ionie per l'Impero austroungarico.
Cosa vedere ad Avlemonas: la vardiola e la casa del diplomatico Giovanni Cavallini
La guardiola faceva riferimento al punto d'avvistamento vero e proprio di Avlemonas, il kastro collocato al termine della baia principale e chiamato «castelo» dalla gente del posto, su cui fa capolino ciò che rimane di un leone di San Marco. Di pianta poligonale, fu innalzato dai veneziani nel XVI secolo e tutt'oggi presenta, sparsi qua e là tra interni ed esterni, alcuni cannoni d'epoca. Una panchina sapientemente collocata lo rende un luogo in cui stazionare in tutto relax.
La fortuna del capoluogo, Chora, risale al 1200, quando i veneziani eressero il castello o kastro, ancora oggi ben conservato, luogo del potere e punto d'osservazione privilegiato contro pirati che a quei tempi imperversavano in questo tratto di Mediterraneo. Dal momento che da qui è possibile dominare simultaneamente Ionio, Egeo e Mar Cretese, ad esso venne dato il nome di «occhio di Creta e dei mari greci». L'accesso è gratuito e prevede un percorso che si snoda tra prigioni, cisterne, abitazioni e ben quattro chiese. Sarete rapiti dal panorama di blu intenso che sia aprirà di fronte a voi, dove Kapsali e l'isoletta di Avgò saranno le vere protagoniste. Non dimenticatevi, però, di dare un'occhiata a ciò che nel frattempo s'è accumulato dietro le vostre spalle: il dipinto della chora stessa nel suo trionfo di bianco e sfumature pastello, un po' Santorini ed un po' Monemvasia, incorniciato dal profilo dei monti.
La Chora di oggi è una splendida cittadina, ben tenuta, fiorita, imbiancata a calce e con una punta di estetica decadente soprattutto nella zona del crinale discendente verso Kapsali, sul quale si gode di una magnifica vista. Prima d'imboccare la via che immette in paese, sarà possibile visitare il piccolo ma suggestivo Museo Archeologico, nella cui collezione spicca il cosiddetto Leone di Citera. Degno d'interesse anche il Museo del Folklore, ospitato nei locali del vecchio municipio, che a primo acchito sembra un negozio in bilico tra l'antiquario ed il robivecchi. Questo perché si tratta del frutto dell'impegno personale dell’insegnante Dimitris Lourantos, che per molti anni ha raccolto con i suoi studenti un gran numero di artefatti a testimonianza della vita quotidiana sull’isola nei faticosi tempi andati.
Considerando un'ottica più mondana, a Chora troveremo, oltre ai negozi di souvenir di qualità mai scadente, botteghe etnochic (nelle quali comprare dal bijoux poco impegnativo al vestito in seta o in lino che deciderà le sorti dell'estate) e locali di tendenza mai troppo urlati (in tutti i sensi), tra cui quello ricavato negli spazi dell'antico mercato cittadino coperto e chiamato... Il Mercato, per l'appunto! Intendiamoci, stiamo parlando di una realtà piccolina. Il numero di abitanti, circa 270, non mente; ma non importa: è comunque il Mediterraneo che più ci piace, quello dei villaggi sospesi nel tempo e nello spazio a strapiombo tra due blu.
Sulla sinistra: una bandiera greca sventola fiera nel kastro di Chora
Sulla destra: un delizioso scorcio del centro storico
Occhi rivolti verso il mare, sulla sinistra del kastro ci s'imbatte in un incantevole quanto misterioso agglomerato di case e cappelle ortodosse, forse non rientrante nelle rotte turistiche primarie ma che noi vi consigliamo dal profondo del cuore di visitare. Si chiama Mesa Vourgo (o Kleisto Vourgo, ossia «borgo chiuso») e nacque nel XVI secolo dal tracimare della popolazione dai confini fortificati della cittadella sovrastante: gli abitanti in eccesso si sparsero attorno ad essa e realizzarono nuove abitazioni, proteggendole con un'ulteriore cinta muraria. Le quattro chiese presentano eccelsi esempi di pittura murale di matrice cretese ma, essendo private (come spesso succede in terra di Grecia), è praticamente impossibile accedervi. Il corso del tempo e l'incuria dell'uomo, però, ci hanno fatto un bizzarro regalo: hanno lasciato scoperchiata (e dimezzata, purtroppo) una di esse. Con movimento ginnico, provate ad insinuarvi in quella che era la navata e raggiungete l'abside: potrete soffermarvi in intima contemplazione di una meravigliosa figura del Cristo nell'atto di rivolgersi agli apostoli (due i superstiti, tra cui siamo abbastanza certi d'identificare un San Pietro). Le condizioni di conservazione sono tutt'altro che buone, ma i frammenti rimasti conservano tutta la maestosità originaria di una scuola che aveva saputo fondere la ieraticità stilizzata dell'arte bizantina con l'esigenza di verità tridimensionale del Rinascimento italiano. V'incanteranno! Una volta raggiunta l'ultima chiesa, sporgetevi dalla cosiddetta «pezoula» (ossia «terrazza»): da questo punto di osservazione privilegiato potrete ammirare la doppia conca di Kapsali nel silenzio e nella solitudine più totali.
Mesa Vourgo: chiese intatte e, ahimè, meno intatte (ma ammirabili in ciò che resta)
Kapsali è la cartolina di Citera, magnifica nella sua baia quando osservata da Chora, ed è un semicerchio di case basse affacciato su una baia turchese e riparata. In realtà, la baie ed i semicerchi diventano due se includiamo nel pacchetto anche Piso Gialos, località quieta ed appartata che è la naturale prosecuzione del centro di Kapsali oltre il promontorio dove sorgono il faro e la chiesetta di Agios Georgios. Proprio agli estremi confini di Piso Gialos, in direzione opposta rispetto a Chora, c'imbatteremo nel Lazaretto (sic), un armonioso edificio formato da tre ali voltate a botte che affacciano su un cortile dall'aspetto esotico. Fu fatto erigere dagli inglesi al fine di salvaguardare la popolazione locale dalla propagazione di malattie cotagiose portate sull'isola dai marinai che vi approdavano, i quali scontavano qui la loro quarantena. Purtroppo non è visitabile in quanto di proprietà privata, ma è curioso che sia stato acquistato da alcuni discendenti di Gustave Eiffel (quello della Torre, tanto per intenderci), che lo hanno restaurato secondo le istruzioni del Servizio Archeologico.
La baia principale di Kapsali ha un'energia tutta diversa, sicuramente a più alto voltaggio ma forse dal sapore non sempre così autentico. Abbondano i locali sul mare, tutti carini, colorati, invitanti, ma l'effetto comincia ad essere più quello delle Cicladi a consumo battente che non quello di Citera come ce l'eravamo immaginata. Vari segnali colti qua e là ce l'avevano già fatta identificare come genuina e singolare: i tentativi (seppure timidi e garbati) di trasformarla in qualcosa che non è ci fanno scattare l'allarme interiore più qui che altrove. Intendiamoci: Kapsali è comunque bellissima nella sua rapida successione di mare spiaggia bar-ristoranti abitato. Proprio in virtù di questa sua conformazione privilegiata, però, rischia più di altre località citeree di andare incontro ad una spersonalizzazione indebita. Incrociamo le dita affinché le realtà più veraci, come l'iconico Zeidoros Art Space, polo culturale ospitato in una deliziosa palazzina veneziana che comprende anche un piccolo teatro all'aperto, illuminino la via per il futuro.
Lo Zeidoros Art Space a Kapsali, antico palazzo veneziano soggetto a vincolo
La nostra selezione di hotel a Citera
In quest'itinerario che batte l'isola a tappeto in senso orario, ci allontaniamo per un momento dalla costa per andare ad ammirare il ponte di Katouni, testimonianza del periodo in cui gli inglesi avevano fatto di Citera un loro protettorato. Questo ponte di pietra è il più lungo della Grecia e misura 110 metri di lunghezza, 16 metri di altezza e 6 metri di larghezza. Presenta un totale di 13 archi simmetrici e fu completato nel 1826, collegando il villaggio di Avlemonas a Chora tramite una strada molto più breve della precedente. Leggenda narra che il governatore britannico costruì il ponte per poter stare vicino alla ragazza di cui era innamorato, supervisionando lui stesso il progetto ogni giorno!
Ma quello di Katouni, sebbene sia il più famoso, non è l'unico ponte ad essere stato costruito dagli inglesi in terra citerea. Noi ne abbiamo visti almeno altri due dall'aspetto molto simile al primo: quello che collega Kapsali con Chora, all'inizio di una micidiale salita di più tornanti, e quello di Potamos, nel cuore settentrionale dell'isola. Quest'ultimo, realizzato sempre in pietra nel 1823, è lungo 60 metri, alto 7 metri ed ampio quasi altrettanto; spicca sugli altri perché è ingentilito da una bella decorazione in alabastro che finge una ghirlanda d'alloro da cui pendono festoni di foglie e frutta. Potamos, uno dei pochi paesi a godere di una certa animazione anche al di là dell'estate, è sede ogni domenica mattina di un vivace mercatino di prodotti locali che rende ancora più piacevole e colorata la permanenza da queste parti, la quale può concludersi in bellezza con un caffè presso l'iconico locale Astikon (avanposto dell'hipsterismo che aleggia su tutta l'isola da alcuni anni a questa parte).
Il ponte inglese di Potamos, fratello minore di quello di Katouni
Ma torniamo al nostro itinerario e proseguiamo il tour di Citera in senso orario ricollocandoci sulla costa occidentale. Partendo dal ponte di Katouni e procedendo verso nord-ovest, attraverso una comoda strada asfaltata che scende alquanto in altitudine si raggiunge il complesso monastico più vasto ed articolato dell'intera isola, ossia quello della Panagia Myrtidiotissa. La chiesa originaria è stata ricavata in un'apertura naturale sul versante meridionale dello sperone roccioso su cui si erge il convento e ospita tuttora la sacra icona che si racconta essere stata rinvenuta proprio qui da un pastore in una data imprecisata del Basso Medioevo. Al di sopra della chiesa inferiore si erge, magnifica, la chiesa superiore suddivisa in tre navate, di realizzazione ottocentesca come l'imponente campanile dalle scenografiche aperture ad arco, alto 26 metri. Tutt'intorno, cellette riunite in vari fabbricati tinti a bianco calce atte ad ospitare i pellegrini che osservano il digiuno del 15 agosto.
Il Monastero della Panagia Myrtidiotissa in tutto il suo splendore
Da questa ridente piana già piuttosto bassa rispetto al livello del mare, scendiamo ancora di un chilometro su una strada cementata fin proprio nell'abbraccio col dio Poseidone. Parcheggiamo la macchina e, dopo una ventina di gradoni in pietra, eccoci ad Agios Nikolaos Krassas, abbagliante cappelletta del XVII secolo. Grazie al recente miglioramento del manto stradale, questo luogo è considerato il più felice di Citera per l'osservazione di tramonti da sogno! La storia inerente alla costruzione della cappella è simpatica e vale la pena raccontarla. Si narra che il capitano di una piccola imbarcazione che trasportava vino, in procinto di annegare dopo essere stato travolto da una violenta tempesta, si fosse rivolto in preghiera al protettore del mare (San Nicola, appunto) promettendogli che, se lui e carico fossero usciti indenni dalla disgrazia, avrebbe innalzato una chiesa in suo onore. Il capitano si salvò e tenne fede al voto ma, dato che in quella zona dell'isola non c'era acqua per ottenere il fango necessario alla costruzione, la terra fu inumidita col vino trasportato: da qui la denominazione «krassas», dal momento che «krasì» in greco significa «vino».
Agios Nikolaos Krassas, scintillante quasi all'altezza del mare
Ad un paio di chilometri nell'entroterra rispetto alla metà esatta della costa ovest, troviamo il pittoresco villaggio di Mylopotamos, sede di alcune delle attrazioni più gettonate. È il suo stesso nome a rivelarci cosa andremo a vedere: un'antica valle di mulini che sfruttavano la corrente del fiume. Essa inizia dalla cascata di Neraida (attenzione: è molto probabile che, data la scarsità delle piogge, in estate non vi sia nessuna cascata) e prosegue, tramite un sentiero segnalato, fino allo sbocco del corso d'acqua nel mare presso la spiaggia di Kalami. Il paesino è delizioso. La chiesa di Agios Charalambos presenta un intricato gioco di scale e piani sovrapposti, uno allo stesso livello del fiumiciattolo, decorato da una simpatica fontana in marmo raffigurante un leone, ed uno al di sopra di esso. Il tutto è ombreggiato da imponenti platani, e Platanos si chiama anche la celebrata taverna sulla piazza limitrofa. La sensazione che questo scorcio trasmette è di serenità e freschezza, l'ideale per una pausa dopo una lunga escursione.
Muovendoci in direzione del mare per circa un chilometro, in macchina o a piedi, raggiungiamo il kastro abbandonato di Mylopotamos, abitato fino agli anni '50 del secolo scorso, noto come Kato Chora. Si tratta di un insediamento veneziano costruito nel 1565 al fine di sfruttare la posizione strategica dello sperone di roccia su cui sorge proteggendone così gli abitanti dai pirati. Si viene accolti dall'immancabile leone di San Marco in pietra, in discrete condizioni di conservazione, ed al suo interno si contano svariate chiese del XVI-XVII secolo ed abitazioni private in differenti stati di degrado. Potete visitare molte di esse salendo anche ai piani superiori, a vostro rischio e pericolo: se il livello di sicurezza non è dei più alti, bisogna però ammettere che l'atmosfera da villaggio fantasma è davvero seducente. L'emozione è ulteriormente accresciuta dalla collocazione "drammatica" della cittadella, a strapiombo su una gola avvolta su se stessa, alla fine della quale s'intravede il blu speranza dello Ionio. Il tramonto sul lato occidentale del kastro è considerato fra i più belli di Citera.
Il fascino decadente di Kato Chora, presso Mylopotamos
Procedendo ulteriormente verso il mare, c'imbatteremo nella Grotta di Agia Sofia, che ospita una cappella affrescata del XIII secolo costellata di stalattiti e stalagmiti. Prima di decidere se intraprendere il viaggio o meno, informatevi presso il vostro alloggio sugli orari di apertura della grotta, che altrimenti è chiusa a chiave. Nell'estate del 2023 non è stato possibile accedervi causa lavori.
Partendo da Mylopotamos, se invece di imboccare la strada per Kato Chora e poi per Agia Sofia optassimo per l'alternativa superiore, dopo una manciata di chilometri di pratico asfalto ci ritroveremmo a Panagia Orfani. Meta di pellegrinaggio perché vi fu ritrovata l'icona della Panagia Eleousa, denominata «Orfani», giace oggi abbandonata in una valle verdeggiante di profumata macchia mediterranea, sul fianco di una di quelle gole così aspre e drammatiche terminanti in una spiaggia (in questo caso, Kalami) che sono una delle cifre più tipiche di Citera.
Torniamo verso Mylopotamos. Spostandoci verso nord-est, c'imbatteremo in una serie di sorprendenti villaggi dell'entroterra che profumano di Serenissima: Friligianika, Aloizianika, Pitsinades, ma soprattutto Aroniadika. In quest'ultimo borgo sarà difficile trattenere l'emozione davanti a dimore che, per terremoti ed incuria, giacciono sì mezze sventrate ma con ancora pozzo e focolare integri a salvaguardarne la dignità. Belle, anzi bellissime, nella loro inarrestabile decadenza. L'emozione si modula su onde diverse ma d'uguale intensità di fronte alle abitazioni recuperate, restaurate e spesso immesse nel circuito dell'accoglienza turistica da quegli australiani di cui sopra che hanno fatto ritorno a casa. Ci troviamo di fronte ad alcune delle ristrutturazioni più riuscite e commoventi cui ci sia stato dato di assistere in tutta la Grecia: piccole residenze salvate dall'oblio, curate e riportate all'antico splendore tramite sapienti gesti risplendono di deliziosi toni biscotto, turrite dei loro caminetti dogali, come in una Monemvasia dei monti. Il consiglio non potrebbe essere più spassionato: andateci, concedetevi una tranquilla passeggiata tra ciò che potrebbe essere e ciò che è tornato ad essere, sotto un cielo cobalto tra viuzze dove la cicala ed il fruscio del fogliame fanno da unico contrappunto al silenzio assoluto. L'esperienza Aroniadika può essere coronata da una visita all'eccentrico negozietto d'antiquariato locale o al suggestivo kafeneio sul limitare del paese.
Le splendide dimore veneziane di Aroniadika, ristrutturate e non
Deviando brevemente verso sinistra dalla strada che ci conduce nel nord estremo dell'isola, 3 chilometri prima di Potamos, sorge il Monastero di San Teodoro. Il Beato Teodoro visse a cavallo tra 800 e 900, diventando monaco presso la chiesa dei Santi Sergio e Bacco, dedica stravagante che trova almeno una corrispondenza sul suolo greco in quella magnifica cappella bizantina definita «tourloti» (ossia «cupolata») a Koita, nel Mani, e citata nel grandioso libro omonimo di Patrick Leigh Fermor. Passati tre anni dalla sua morte, il corpo incorrotto di Teodoro fu qui seppellito e la chiesa venne a lui ridedicata. Nel corso dei secoli, attorno ad essa sorse il monastero e vennero messi a coltivazione terreni di cui in parte si sarebbero occupati gli stessi religiosi, sacerdoti e monaci. Nel '600, al complesso vennero apportate modifiche sostanziali che sussistono ancora oggi. Di questo monasterino, secondo noi uno dei più belli di Citera, colpiscono i colori sgargianti (giallo senape e rosso pompeiano, oltre all'immancabile bianco) e la squisita fattura del rilievo soprastante il portale d'ingresso della chiesa, in cui spiccano due begli angeli reggistemma.
Il Monastero di San Teodoro, non lontano da Potamos, merita senz'altro una visita
Sorvoliamo su Potamos perché di essa ci siamo già occupati qualche paragrafo fa ed arriviamo a Karavas, l'ultimo villaggio degno di questo nome prima dei cinque chilometri finali di isola verso nord. È chiaro sin da subito cosa visitare da queste parti: le fonti di Amir Ali. Non è chiarissimo, invece, dove poter lasciare la macchina ma, una volta chiesto l'aiuto di Google Maps o di qualche cortese passante, parcheggiamo e ci dirigiamo a piedi sull'unica stradina che scende giù giù fino ad un ponte affollato da... assonnate anatre mute. Lo scenario è quasi surreale: ponti e fontane leonine si accavallano su vari livelli come a Mylopotamos, ma qui l'avvolgenza del verde è totale, e non parliamo solo di fichi e rampicanti, ma anche di rigogliosissimi banani che affondano le radici direttamente nel fiume! Percorretene gli argini e dopo duecento metri giungerete ad una piccola area di ristoro, davvero salvifica in giornate di caldo estremo. Fresca ed appartata, è incorniciata da un ippocastano con enormi fronde ed una fontana con una protome leonina particolarmente simpatica vi fa zampillare acqua sorgiva di temperatura corroborante. Accomodatevi su panche e tavolo per rimettervi in forze e studiare i dettagli della vostra prossima tappa. Dalla zona del ponte, con una breve ma irta passeggiata potete infine raggiungere il villaggio fantasma di Mavrogiorgianika che, con le sue pietre annerite dal tempo e le sue finestre prive di vetri e persiane, proietta un'ombra di mistero sull'abitato sottostante.
Karavas: le sorgenti di Amir Ali tra ponti, fontane ed anatre mute
Il faro di Moudari è situato nel punto più settentrionale dell'isola, capo Spathi. Alto 26 metri, fu realizzato anch'esso negli anni del dominio britannico, più precisamente nel 1857, ed è faro più grande costruito dagli inglesi in tutta la Grecia. Merita una visita veloce per la spettacolarità del panorama che offre sul Golfo di Laconia e, se incontrerete il guardiano, potrete chiedergli di farvi salire per godere di una vista ancora più straordinaria. Il brullo sterrato che precede il faro, però, rende piuttosto ardua l'impresa di raggiungerlo.
Ci siamo quasi: il tour dell'isola che aveva avuto il porto di Diakofti come punto di partenza ha quasi fatto il giro dell'orologio. Prima, però, ci manca ancora un'attrazione di Citera tra le più imprescindibili: Palaiochora. Raggiungiamola dall'arteria stradale sud-nord deviando verso la costa orientale all'altezza di Kampos e proseguiamo fino alla fine della strada, sterrata nell'ultimo pezzo, dove si trova il parcheggio del sito. Percorrendo a piedi un sentiero piuttosto scosceso, ma tutto sommato fattibile, incrociamo subito la chiesetta di Agia Barbara, chiusa ma facilmente "sbirciabile" da fenditure varie sia dal transetto che dall'abside. Dopo qualche passo entriamo nella cittadella vera e propria, l'antica capitale bizantina dell'isola intitolata a San Demetrio. Nonostante l'asprezza del luogo, a strapiombo sul nulla profondo di una gola impressionante, il kastro fu comunque raggiunto e distrutto dal capitano della flotta turca nel 1537. I pochi che si salvarono dalla carneficina decisero di abbandonare l'insediamento, che da allora (quasi cinquecento anni!) ondeggia fantasmatico al vento che batte questo panorama disperato e bellissimo. Resistono gloriosi alle offese dei secoli parti di fortificazioni, la facciata del palazzo e numerosi brandelli di chiese, dove sono ancora leggibili alcune figure di santi ed una Dormizione della Vergine.
Palaiochora: la facciata superstite del castello ed il vertiginoso burrone su cui affaccia
Et voilà, eccoci di nuovo a Diakofti pronti per salire sul primo traghetto per il Peloponneso o per rigettarci da qui nello splendore citereo!
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Testo e foto: © Ilaria Badino